11/01/2008

MODALITA’ ALTERNATIVE DI PROTESTA

In questi giorni, le scuole e le università di tutta Italia stanno manifestando il loro dissenso contro la legge 133, attuata dal Ministro Gelmini. Fino a questo momento, io, studentessa della facoltà di Sociologia, ho cercato di informarmi il più possibile: leggendo i giornali, ascoltando i tg e le varie trasmissioni, e naturalmente partecipando alle assemblee indette nella mia facoltà. La cosa che più mi ha colpito della ricerca informativa che ho sentito doveroso fare, è l’aver constatato quanto subdolo, meschino e superficiale sia l’utilizzo del potente mezzo informativo. I mass media continuano a sostenere che gli studenti non conoscono il contenuto della legge, ma soprattutto non hanno a disposizione argomentazioni razionali per ribattere, poiché sono fomentati dai professori e dai movimenti di sinistra. Arrivati a questo punto, io “non ci sto più” a rimanere in silenzio, e mi piacerebbe esprimere la mia opinione a riguardo: da quando sono piccola, mi sento dire che le generazioni di adesso non valgono neanche la metà di quelle passate, peccato però che i famosi studenti del ’68 sono, in parte, quelli che oggi in politica stanno distruggendo il nostro paese. Vorrei quindi fare appello ai miei compagni di università: cerchiamo di non cadere nella trappola delle provocazioni e rispondiamo in maniera intelligente. Noi ragazzi delle facoltà di Sociologia e Scienze della Comunicazione abbiamo forse più di altri gli strumenti per combattere con la mente e il cuore una battaglia che dall’alto viene già etichettata persa, proprio perché ogni giorno studiamo materie che ci permettono di guardare la realtà al di là dell’orizzonte, svelando i meccanismi sottostanti ai problemi sociali e alle manipolazioni delle coscienze a cui i detentori del potere ci sottopongono. Prima di tutto, credo che l’unità del gruppo sia fondamentale per raggiungere il fine, quindi la collaborazione fra gli atenei dovrà essere compatta. Questo, però, non pregiudica la possibilità di creare attività alternative che mirano a mettere in luce i valori, gli ideali, gli obiettivi racchiusi nelle anime dei giovani di adesso. Nel concreto, ritengo che organizzare le lezioni all’aperto sia un’ottima idea. Ma si potrebbe fare di più… il fine settimana sarebbe l’ideale, perché senza bloccare la didattica continuiamo a portare avanti i nostri scopi. Ad esempio si potrebbe organizzare una giornata di tutela dell’ambiente nella nostra città, scendere quindi nelle strade per una raccolta rifiuti. Si creerà disagio, ma per un obiettivo importante; oppure organizzare un pranzo sociale di aiuto ai bisognosi, che, se pur spesso invisibili, fanno parte della nostra società e hanno diritto di essere considerati e non dimenticati; o ancora si potrebbero organizzare dei concerti aperti al pubblico in cui, secondo una scaletta, chiunque si possa esibire; sarebbe utile, inoltre, creare una fiaccolata con docenti, studenti, genitori e chiunque voglia aderire… queste e tante altre possono essere le idee da concretizzare per sensibilizzare non solo il governo e la popolazione, ma anche tutti quei giovani europei che in questo momento grazie ai mass media hanno un giudizio negativo dei giovani italiani, dipinti come “fannulloni”. Inoltre, tutte queste iniziative dovranno avere un continuo legame con i media, per far saper loro che ogni attività in atto ha lo scopo preciso di eliminare la legge. La battaglia sarà lunga, però mi piacerebbe che un giorno i miei figli studiassero come i giovani studenti dell’anno 2008 fossero capaci di combattere, senza lo strumento della violenza, non solo contro una legge, ma anche contro i pregiudizi che i potenti e la società civile avevano nei confronti delle nuove generazioni. Non ho intenzione di entrare nel merito dei contenuti della 133, soprattutto perché tali argomentazioni vengono già ampiamente dibattute durante le assemblee studentesche. Ciò che mi interessa è riflettere sull’importanza, ma soprattutto sull’efficacia, di determinate modalità di protesta; in particolare mi chiedo: in un’ottica in cui il presupposto del movimento studentesco sia la lotta ad una legge che trasforma il diritto all’istruzione in un servizio a pagamento, quanto senso ha manifestare il proprio dissenso attraverso occupazioni oppure blocchi della didattica? Non vi sembra che sia contraddittorio battersi in nome di un principio, attraverso, però, forme di “auto-negazione” del principio stesso? E’ possibile, allora, che in questo modo noi alimentiamo ulteriormente il pregiudizio dei media, dando loro terreno fertile sul quale “sparare sentenze” superficiali riguardo legittime manifestazioni di dissenso? Invito soltanto ad una attenta riflessione sulle conseguenze delle nostre azioni.
di Sara Monsù

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