
Venerdì 25 aprile io ed Antonio Nesci eravamo in manifestazione: insieme ad altre quarantamila persone abbiamo camminato da Porta San Paolo a Piazza Vittorio Emanuele, e ne abbiamo approfittato per guardarci attorno, raccogliere qualche intervista e capire quali fossero le opinioni ed i sentimenti dei cittadini lì presenti.
La prima impressione si è poi rivelata essere la compagna della manifestazione: troppe bandiere di partito, troppe falci e martello o simboli del Piddì. Sono troppo giovane per sapere con certezza cosa sia successo nella storia politica e culturale del nostro Paese perché la giornata della Liberazione divenisse una festa di parte. Lo posso immaginare: una scuola sempre più scandalosa col passare degli anni (alcune ragazze delle superiori ci hanno detto di non aver mai letto Fenoglio, Calvino o Pavese), una società di massa rincoglionita dalla televisione, politici rampanti che strumentalizzano la Storia a proprio consumo o che la ignorano indecentemente
- come il prossimo Presidente del Consiglio che non ha mai celebrato il 25.
Se lo ficchino bene in testa, coloro che pensano alla Liberazione come una cosa sorpassata: se siamo qui a parlare, a studiare, a discutere per differenti posizioni politiche, lo dobbiamo a quei liberali, a quei comunisti, a quei cattolici, a quegli anarchici, a quelle persone semplicemente libere che dall’8 settembre 1943 si ribellarono all’oppressione nazi-fascista. E invece no, ci si ritrova in manifestazione per il 25 Aprile immersi in un’atmosfera palesemente di sinistra, perché a questo punto,msiamo arrivati: dacché fu dell’intero popolo italiano, oggi la Liberazione è una festa di parte. E a me sta cosa fa schifo. Al sig.Malaguti, all’epoca il partigiano Biondino, abbiamo chiesto cosa rimane della Resistenza oggi. “Rimane la Costituzione”, ci ha risposto.
La Costituzione è di sinistra o della Repubblica democratica? Il cittadino di destra gode o no dei diritti sanciti nella nostra carta costituzionale? E allora perché la manifestazione del 25 è tinta di rosso? Attenzione, non dico che la colpa sia della destra: può essere che la sinistra abbia strumentalizzato la Liberazione, e quindi lo schieramento avverso - a torto - se n’è tirato fuori. Non lo so. Credo che il peccato originale risieda nella degenerazione della società e del valore della memoria a cui ci siamo abbandonati. A cui ci hanno abituati. Io non me la sentirei di dare del cretino ad un sedicenne che non sapesse spiccicarmi due parole in croce, profonde, sul senso della Liberazione. Se non ne fosse capace, sarebbe una vittima: è la scuola a non averglielo insegnato. O la famiglia. In manifestazione abbiamo intervistato un bambino che era lì coi genitori, avrà avuto otto anni. Sua madre ci aveva detto che il giorno di Pasquetta l’hanno portato a visitare le Fosse Ardeatine. “Tullio, che ricordo ne hai?”. La sua risposta semplice arriva dritta al cuore, e mi fa credere che le parole dell’innocenza andrebbero ascoltate molto più spesso, sempre: “Mi ha messo tristezza pensare a quella gente innocente che è stata presa ed uccisa senza motivo”. È stata la povera gente, innanzitutto, a subire l’oppressione. Quel bambino, inconsapevolmente, ha espresso uno stesso concetto di Piero Calamandrei: “Sono le lacrime e il sangue del popolo che hanno cementato i muri maestri della Costituzione italiana”. Le generazioni possono ancora parlarsi, senza bandiere e colori. Basterebbe che ogni giorno venisse rispettata una manciata divalori: quelli per cui sono morti i padri della nostra Repubblica.
Daniele Ferro
daniele.ferro@libero.it
La prima impressione si è poi rivelata essere la compagna della manifestazione: troppe bandiere di partito, troppe falci e martello o simboli del Piddì. Sono troppo giovane per sapere con certezza cosa sia successo nella storia politica e culturale del nostro Paese perché la giornata della Liberazione divenisse una festa di parte. Lo posso immaginare: una scuola sempre più scandalosa col passare degli anni (alcune ragazze delle superiori ci hanno detto di non aver mai letto Fenoglio, Calvino o Pavese), una società di massa rincoglionita dalla televisione, politici rampanti che strumentalizzano la Storia a proprio consumo o che la ignorano indecentemente
- come il prossimo Presidente del Consiglio che non ha mai celebrato il 25.
Se lo ficchino bene in testa, coloro che pensano alla Liberazione come una cosa sorpassata: se siamo qui a parlare, a studiare, a discutere per differenti posizioni politiche, lo dobbiamo a quei liberali, a quei comunisti, a quei cattolici, a quegli anarchici, a quelle persone semplicemente libere che dall’8 settembre 1943 si ribellarono all’oppressione nazi-fascista. E invece no, ci si ritrova in manifestazione per il 25 Aprile immersi in un’atmosfera palesemente di sinistra, perché a questo punto,msiamo arrivati: dacché fu dell’intero popolo italiano, oggi la Liberazione è una festa di parte. E a me sta cosa fa schifo. Al sig.Malaguti, all’epoca il partigiano Biondino, abbiamo chiesto cosa rimane della Resistenza oggi. “Rimane la Costituzione”, ci ha risposto.
La Costituzione è di sinistra o della Repubblica democratica? Il cittadino di destra gode o no dei diritti sanciti nella nostra carta costituzionale? E allora perché la manifestazione del 25 è tinta di rosso? Attenzione, non dico che la colpa sia della destra: può essere che la sinistra abbia strumentalizzato la Liberazione, e quindi lo schieramento avverso - a torto - se n’è tirato fuori. Non lo so. Credo che il peccato originale risieda nella degenerazione della società e del valore della memoria a cui ci siamo abbandonati. A cui ci hanno abituati. Io non me la sentirei di dare del cretino ad un sedicenne che non sapesse spiccicarmi due parole in croce, profonde, sul senso della Liberazione. Se non ne fosse capace, sarebbe una vittima: è la scuola a non averglielo insegnato. O la famiglia. In manifestazione abbiamo intervistato un bambino che era lì coi genitori, avrà avuto otto anni. Sua madre ci aveva detto che il giorno di Pasquetta l’hanno portato a visitare le Fosse Ardeatine. “Tullio, che ricordo ne hai?”. La sua risposta semplice arriva dritta al cuore, e mi fa credere che le parole dell’innocenza andrebbero ascoltate molto più spesso, sempre: “Mi ha messo tristezza pensare a quella gente innocente che è stata presa ed uccisa senza motivo”. È stata la povera gente, innanzitutto, a subire l’oppressione. Quel bambino, inconsapevolmente, ha espresso uno stesso concetto di Piero Calamandrei: “Sono le lacrime e il sangue del popolo che hanno cementato i muri maestri della Costituzione italiana”. Le generazioni possono ancora parlarsi, senza bandiere e colori. Basterebbe che ogni giorno venisse rispettata una manciata divalori: quelli per cui sono morti i padri della nostra Repubblica.
Daniele Ferro
daniele.ferro@libero.it
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