4/28/2008

quando un operai muore

LA LINGUACCIA Rubrica satirica di Taco

Cominciamo bene

Dopo le corna ed il kapò al socialista Schultz – ricordi ormai di lustri or sono - Berlusconi torna alla ribalta
comica internazionale con due belle gaffe. E non è ancora Presidente del Consiglio. Martedì 15 aprile, a Radio Montecarlo, Odino Silvio ha detto che “Zapatero ha fatto un governo troppo rosa, che noi non possiamo fare anche perché in Italia c’è una prevalenza di uomini”. Mah, a parte il fatto che se al governo ci dovesse mettere donne come la Prestigiacomo di sicuro la maggioranza dei maschi italici preferirebbe vederle ballare a Striscia la Notizia, a quanto ci risulta nel nostro Paese ci sono più donne che uomini, quindi il discorso non regge a priori. In ogni caso le spagnole ci sono rimaste un tantino male, una per tutte la ministra alle Infrastrutture signora Alvarez, che ha affermato: ”Le parole di Berlusconi sono un’offesa. [...] molte donne non vorrebbero lavorare con un politico che pensa questo delle donne”.
Vista l’alta considerazione di Belli Capelli per il genere femminile, ci chiediamo cosa se ne faccia della Brambilla. Ma lasciamo l’ardua risposta ai cani che durante le cene di Arcore aspettano qualche boccone da sotto al tavolo. Non contento, Odino Silvio ha voluto fare “il simpa” – come direbbero nell’avanzato Nord - anche al fianco dell’amico fraterno Putin, accolto giovedì 17 nella villa in Costa Smeralda assieme a cabarettisti e ballerine del Bagaglino ed al cantore epico Mariano Apicella. Così i due statisti se la sono risa fino a tarda notte. Italiaaaani!: la politica internazionale è una cosa seria, ed infatti tra una minchiata su Alitalia e l’altra, il giorno dopo c’è stato persino il tempo per una conferenza stampa, in cui il Presidente in pectore ha mostrato il suo lato più scherzoso. La giornalista russa Natalya Melikova ha chiesto a Putin ragguagli riguardo la relazione con la ginnasta Alina Kabaeva (e questo ci fa immaginare che di giornalisti inutili non ce ne siano solo in Italia e che pure in Russia ci possa essere un tiggì come Studio Aperto): l’ex ufficiale del Kgb l’ha gelata con lo sguardo, e Berlusconi le ha fatto “pum pum”, mimandole altresì il gesto del mitra.
Allora, occhèi che la giornalista avrebbe potuto farsi i cazzi suoi, ma il mitra - come ricorda la Federazione Nazionale della Stampa Italiana - richiama alla mente i duecento e più reporter uccisi in Russia negli ultimi dieci anni, da chi non si sa. Cioè, dal governo russo, ma non ditelo troppo in giro. La Melikova si sarà vista davanti la povera Anna Politkovskaja ed è scoppiata in lacrime. Capiamo dunque perché Belli Capelli abbia detto “farei volentieri il cambio tra stampa russa e italiana”: meglio un giornalista che piange rispetto a uno che fa domande.
Ma via, lo sapevamo che Berlusconi è un burlone per natura, e se gli italiani l’hanno votato è giusto intrattenere il popolo con qualche goliardata. Piuttosto sembrano essere usciti pazzi quelli del Partito Democratico. Mentre le mummie della Sinistra Accozzaglia litigano - dall’alto del loro 3% - su falce e martello, Dabliu Veltroni ha annunciato un governo ombra per fare opposizione: con un sequestro lampo hanno preso GiuliAno Ferrara, al fianco gli metteranno Fassino, e uno per il largo l’altro per il lungo faranno un’ombra della madonna, ci potranno stare dietro tutti i dirigenti del PD (sempre che Fioroni si metta a dieta). D’Alema e il suo cinismo possono dunque spadroneggiare: “L’avevo detto io” – ha affermato - “che dopo il «si può fare» dovevamo mettere i puntini. Così ora potevamo aggiungere:
«una bella cagata»”. A proposito, per avere un commento a freddo passata la sbornia del post elezioni abbiamo intervistato Pietro, operaio di Bergamo, e gli abbiamo chiesto se abbia dato preferenza alla
Sinistra o alla Lega. “A nessuno dei due “ - ha risposto - “in verità prima del 13 aprile non sono andato in bagno per quattro giorni: nella cabina elettorale volevo fare come il ragionier Fantozzi. Solo che poi, lì dentro, a vedere simboli e nomi dei partiti mi sono venuti in mente i candidati e mi sono costipato”.
Tiriamo lo sciacquone su queste elezioni, va, e guardiamo avanti.

4/25/2008

La violenza sulle donne

Pensavamo tutti che il caso Giovanna Reggiani, donna violentata ed uccisa nelquartiere di Tor di Quinto a Roma nello scorso ottobre, fosse l’ultimo vile e sanguinario atto di efferatezza, spietatezza e misoginia umana. Ebbene no, visto le ultime cronache che sono giunte in questi ultimi giorni, da Milano, Torino ed ancora Roma che hanno denotato ancora una volta questa forma di intolleranza e denigrazione maschile, nei confronti delle donne. A Milano, lo scorso 18/04, una studentessa erasmus americana, ha subito lo stupro nel cuore della città, da un uomo di origine egiziana, mentre a Torino ieri, una giovane donna di 27 anni di nome Fatima è stata vittima di soprusi da parte di due albanesi, al di fuori di un locale. Poi è stata la volta di Roma, sempre nella giornata di ieri, in cui un’altra studentessa marocchina di 31 anni non ha potuto nulla contro la barbara azione di un rumeno. Sembra aprirsi dunque uno scenario spettrale, nonché delirante che denuncia lo status di profonda avversione nei confronti delle donne, vittime sacrificali e con l’unica colpa di essere il primo oggetto di sfogo da parte di questa cruda realtà dell’immigrazione clandestina. Si la clandestinità, il vero problema relativo alla sicurezza che sembra attanagliare le istituzioni, al cospetto a questo punto, di una presunta dichiarazione di guerra da parte di costoro che agiscono in modo così disumano. Cosa fare? Sembra questo l’interrogativo che si pongono le nostre cariche dello Stato all’indomani dell’esito elettorale ed in relazione al prossimo ballottaggio a Roma tra Rutelli e ed Alemanno. Dunque la sicurezza, come era stato del resto nel caso Reggiani, diviene il primo nonché il più urgente tema da affrontare a livello sociale e politico. Una sicurezza da garantire
ai cittadini con contemporanea eliminazione dell’aspetto clandestino dell’immigrazione che sembra mettere d’accordo tutte le alte figure politiche. Il tutto cercando di non sollevare un problema “rumeno” che possa in qualche modo esortare una sorta di “caccia alle streghe” di stampo razzista e neonazista e di
creare dunque una giustizia fai da te. L’integrazione va plasmata con una regolarizzazione dei comportamenti sociali in stretto contatto con il mondo del lavoro e dell’occupazione.
Patrizio Rosati

Roma al ballottaggio

Si vota domenica 27 e lunedì 28 aprile per i ballottaggi delle elezioni amministrative. Occhi puntati su Roma, dove si sfideranno Francesco Rutelli e Gianni Alemanno. La vittoria di quest’ultimo sarebbe l’ennesima conferma della tendenza dell’Italia a spostarsi a destra e rappresenterebbe una svolta drastica
per la capitale, dove solo due anni fa era stato netto il successo di Veltroni sullo stesso Alemanno.
Nel primo turno Rutelli ha ottenuto il 45,7% dei voti, contro il 40,7% dello sfidante del Popolo della libertà. Cinque punti percentuali che potrebbero però essere nettamente ridotti, visto che con tutta probabilità sul nome di Alemanno confluiranno i voti della Destra di Storace, con il quel tuttavia non è stato ufficializzato l’apparentamento dopo le perplessità espresse dalla comunità ebraica. L’Udc ha invece lasciato libertà di voto ai propri elettori. Un altro elemento che potrebbe favorire Alemanno è l’effetto della vittoria del Pdl a livello nazionale, che potrebbe portare molti voti di coloro che decideranno di salire
sul caro dei vincitori. A vantaggio di Rutelli potrebbe invece giocare l’astensionismo, che nelle precedenti
tornate amministrative è sempre stato maggiore a destra (o almeno così sembrerebbe se si paragonano i
risultati delle elezioni politiche con quelli delle amministrative e dei referendum).
Molti cittadini infatti potrebbero restare a casa o andare al mare se non richiamati dal voto nazionale.
Il tema centrale della campagna elettorale è sempre più la sicurezza, dopo i recenti fatti di cronaca e l’enfasi posta su questi da parte dei media. L’amplificazione a dismisura di alcuni fatti di cronaca nera ha infatti creato in gran parte degli italiani un bisogno eccessivo di sicurezza e un sentimento xenofobo,
che hanno contribuito non poco alla vittoria del centro-destra.
Andrea Pranovi
andrea.pranovi@underpress.it

4/22/2008

OFF-LINE N14 del 22/4/08

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http://officinasdc.altervista.org/off-line/offlinenumero14.pdf

4/21/2008

Il crollo della sinistra

Berlusconi ha stravinto. Schiacciante il divario tra Pdl e Pd. Impressionante il successo della Lega. Buono il risultato dell’Italia dei Valori. Ma il dato più eclatante che è uscito dalle urne è la sconfitta della Sinistra-Arcobaleno. 3% alla Camera e 3,2% al Senato: lontano dalla soglia di sbarramento del 4% a Montecitorio, lontanissimo da quella dell’8% a Palazzo Madama. In Parlamento non siederanno nemmeno un deputato o un senatore comunista. Non era mai successo nella storia dell’Italia repubblicana. Sulla disfatta della Sinistra-Arcobaleno hanno pesato senza dubbio i continui richiamo in campagna elettorale al “voto utile”, oltre all’anticomunismo dilagante nel paese. Ma attribuire la causa di 3 milioni di voti in meno rispetto al 2006 a fattori esterni e pensare che la sinistra radicale sia vittima indifesa del processo di “semplificazione del quadro politico” sarebbe un errore. La sinistra ha bisogno di fare autocritica, perché non sono pochi gli sbagli commessi negli ultimi anni. Nei mesi del governo Prodi i partiti della sinistra hanno deluso le aspettative votando il rifinanziamento della missione in Afghanistan, nonostante la manifestazione di Vicenza, e il protocollo sul welfare, che invece era stato bocciato nelle fabbriche. Caduto il governo il processo unitario di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e Sd ha portato alla creazione di un cartello elettorale il cui programma ha preferito porre l’accento su temi come le unioni civili, mettendo i secondo piano argomenti cari ai lavoratori e alle lavoratrici come la lotta alla precarietà e la sicurezza sul lavoro. Anche Bertinotti e compagni hanno inoltre deciso di puntare sul marketing politico, sull’immagine: via la falce e martello, rimpiazzata dall’arcobaleno. Ma la sinistra non è arcobaleno: è rossa. Forse l’hanno dimenticato, sicuramente l’hanno pagato. Molti astenuti e i voti ai partiti minori
che hanno mantenuto il simbolo storico (oltre a quelli forse andati alla Lega) provengono dall’area di rifondazione e degli altri partiti che oggi compongono la Sinistra-Arcobaleno. Se nell’Unione la sinistra si era sottomessa a riformisti, moderati e centristi, con la scelta del Partito Democratico di correre da solo si è persa l’occasione per costruire un progetto veramente alternativo.
Ora a sinistra si apre un periodo di riflessione nel quale sarà importante capire i perché della debacle. E’ necessario rimboccarsi le maniche, ripartendo dalle piazze, riconquistando la fiducia soprattutto nelle fabbriche. E’ difficile. Ma si può fare. Anzi, si deve fare.
di Andrea Pranovi
andrea.pranovi@undeprress.it

Tsunami Berlusconi

Berlusconi ha sempre detto che il PDL e la Lega Nord avrebbero avuto 8 punti di vantaggio sul suo diretto avversario e noi tutti scettici con una certa aria di superbia pensavamo che la percentuale sarebbe stata nettamente più bassa, ma oggi dobbiamo dargli ragione anche se il distacco non è di 8 punti ma di ben 9,3 al senato e 9,2 alla camera. Percentuali da capogiro che hanno messo KO il Partito democratico e il suo leader Walter Veltroni il quale è corso ai ripari proponendo la creazione di un Governo Ombra per non trasformarsi lui stesso in un’ Ombra politica viste anche le accuse che gli vengono rivolte sia dai Socialisti che dai Comunisti che vedono nelle scelte del leader del
PD il motivo della loro mancata presenza nel parlamento. Per due anni ci hanno detto che con questa legge elettorale non si poteva governare, che era una vera porcata, ma anche qui il Cavaliere era l’unico che affermava il contrario, sicuro che il PDL aveva i numeri per governare e le elezioni gli hanno dato ragione dandogli una maggioranza larga sia
al senato che alla camera. Non si può negare che questo risultato sia il frutto di un’ alleanza estremamente proficua con la Lega Nord che è passata dal 4,5% delle elezioni 2006 al 8,1% di queste ultime elezioni. Anche in una città per tutti rossa come Bologna, la Lega Nord è riuscita a portare a casa un risultato storico passando dal 1,8% del 2006 al 4,5% di oggi, un risultato che fa capire da solo la crisi profonda del centro-sinistra che non riesce più ad essere maggioranza nel paese anche, come in queste elezioni, quando in un modo a dir poco goffo si presenta agli elettori con un leader di spirazione Berlusconiana come è Walter Veltroni. Ma ora parliamo dei numeri del PDL, se li confrontiamo
con quelli di Forza Italia e AN delle elezioni del 2006 ci rendiamo conto di una leggera inflessione dovuta a una perdita di consenso al Nord, ma non in favore della Lega e non di elettori FI ma di elettori di AN verso la Destra e UDC.
Tutto ciò è compensato dai risultati estremamente confortanti nelle regioni del Centro-Sud, un dato su tutti quello della Calabria dove nel 2006 le due formazioni insieme avevano preso il 31,7% oggi si attestano al 42,1% numeri che non lasciano dubbi sulla forza del PDL. Concludo con la parte finale dell'articolo del direttore Vittorio Feltri ha scritto su Libero mercoledì 16 aprile 2008: " infine diamo a Silvio quello che è di Silvio. Un ringraziamento per aver sopportato
il dileggio dei fessi e dei cafoni. I quali occorre si rassegnano: lui è uno dei pochi personaggi di spicco della storia repubblicana. Piaccia o no, le cose stanno così".
Io aggiungo, FORSE stanno così.
di Antonio Nesci

Pd: analisi di una partita persa

Si può fare. Questo è stato lo slogan del Partito Democratico. Uno slogan che lunedì scorso, nel tardo pomeriggio, ha perso il suo significato simbolico e letterale. Forse però Veltroni ha ripetuto quelle tre parole nella sua testa prima di prendere il telefono e chiamare il suo rivale, ormai vincitore. "Ti voglio dare atto della vittoria e fare gli auguri nell’interesse del paese", così è iniziata la telefonata in questione. Si può fare: perdere ma con stile. Così come con stile è stata condotta la sua campagna elettorale. Un viaggio che ha toccato più di 100 province, caratterizzato dal contatto diretto con le piazze, da incontri informali che hanno permesso di toccare le vere speranze della gente, talvolta, forse, cedendo alla spettacolarizzazione. Soprattutto, però, è da ricordare il monito a smorzare i toni: in una
politica come quella di oggi ciò non è poco. Una campagna che dietro, naturalmente, aveva un progetto. Il PD
voleva creare uno spartiacque tra passato e futuro, un qualcosa che segnasse un punto e a capo. Molta importanza è stata data a concetti come innovazione, sviluppo, creatività, mobilità sociale. Punto cardine poi, era la qualità. Qualità economica che si sarebbe dovuta concretizzare nell’aumento della ricchezza, nella promozione della concorrenza. Qualità della democrazia intesa come eliminazione di ogni tipo di disuguaglianza. Qualità della giustizia, che si sarebbe
esplicata nella abbreviazione dei processi e nella ragionevolezza dei tempi, nell’inasprimento delle pene per i reati contro le donne ed i minori. Infine molto risalto è stato dato ai temi della famiglia e della condizione delle donne. Tutti questi intenti sono stati smentiti dai risultati. Il PD ha totalizzato il 33,3% di voti alla Camera ed il 33,7% al Senato. Se aggiungiamo i risultati relativi all’Italia dei Valori, le percentuali salirebbero rispettivamente al 37,7% ed al 38%. E’ vero, le elezioni sono state perse. Ha vinto il PDL. Tuttavia i risultati del PD sono stati buoni. Veltroni infatti ha ottenuto due punti in più alla Camera rispetto all’Ulivo nel 2006 e ben sei punti in più al Senato dove, sempre due anni fa, DS e Margherita ebbero il 28,2%. Inoltre il PD ha recuperato al PDL 20 punti di distacco in due mesi.
Forse è per tali motivi che Veltroni ha dichiarato dopo la sconfitta: "Dalle condizioni in cui siamo partiti possiamo parlare di rimonta. Ora i riformisti hanno una forza vera." Cosa ha impedito di raggiungere l’ambito traguardo? Forse il fatto che il leader del PD non ha mai negato l’esperienza del governo Prodi che aveva deluso molti elettori anche, se non soprattutto, di sinistra. Forse il Partito Democratico nel Nord non è stato percepito come radicato nel territorio ed è da qui che sono venuti i voti alla Lega. A dimostrazione di ciò sta il fatto che a Veltroni sono andati i voti
delle tradizionali regioni "rosse" come Toscana, Emilia, Marche, Umbria, Molise, Basilicata. Forse l’insuccesso è da rintracciare in ragioni storiche, politiche, culturali, sociologiche o nel loro intreccio. O forse Veltroni semplicemente non è un uomo con un impero dietro, non fa battute ad effetto, non è arrogante, non si dipinge come unto dal Signore e poi attenzione….udite udite: non ha ricevuto condanne!!! Allora perché mai gli italiani dovrebbero votarlo??
di Marco Pennacchia


4/17/2008

OFF-LINE N13 del 17/4/08

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4/13/2008

LE GUERRE DEL SILENZIO


Ci sono luoghi in questo mondo in cui Dio sembra aver distolto lo sguardo. Sono i massacri, le torture, la fame, le atrocità che coinvolgono milioni di individui. Sono i conflitti di cui spesso non abbiamo notizia perché i detentori dell’informazione non ritengono importante diffondere.
Le uniche guerre di cui si parla sono “La Guerra al Terrorismo” , il conflitto Iracheno, quello Arabo-Palestinese. Come tutti noi sappiamo gli interessi economici e politici che ruotano intorno a questi conflitti sono ingenti, guidati dalla Grandi potenze e per tale motivo sempre oggetto di discussione da parte dei media. Sono relativamente pochi “gli altri” conflitti che attirano la nostra attenzione. Secondo alcune stime, nel periodo 1946-2000, ci sarebbero stati più di 150 conflitti provocando 23 milioni di morti di cui i 2/3 civili: donne, anziani e bambini.
Sono state definite le “Guerre del Silenzio” le cui storie, spesso inascoltate, sono però reali e fanno parte del mondo in cui viviamo.
E’ la storia del Sahara occidentale, la cui popolazione da oltre 10 anni attende il referendum per ottenere l’indipendenza dal Marocco e conta 165 mila esuli nei campi profughi in Algeria.
La storia del Senegal, uno dei Paesi più poveri al mondo dove la richiesta di indipendenza e la rivolta antigovernativa ha provocato più di 2000 morti e 50.000 profughi.
La Sierra Leone, attraversata da un continuo stato di guerra, ha impedito che venisse realizzato qualsiasi programma di sviluppo e risanamento nonostante la ricchezza del sottosuolo con giacimenti di diamanti, oro, bauxite e rutilio.Ufficialmente nel 2002 la guerra è stata dichiarata conclusa ma le conseguenze che il Paese paga sono molteplici.
La Costa D’Avorio ha conosciuto per motivi etnici e razziali 5 tentativi di colpo di stato in un anno. Ora il Paese è diviso in 2: le regioni del nord sono controllate dai ribelli mentre le forze governative cercano di mantenere integro il territorio meridionale.
Nel Ciad, dopo un breve periodo di tregua dal 1998 al 2002, è ripresa la guerriglia nel nord del Paese.
Nel vicino Sudan la guerra dura ormai da quasi mezzo secolo ed anche qui l’origine di questi conflitti si può attribuire a cause religiose, economiche geografiche, razziali, storiche e politiche
Drammatica è la situazione nella regione desertica del Darfur dove gruppi paramilitari arabi compiono massacri e operazioni di pulizia etnica sulla popolazione nera.
Altri conflitti si verificano in Somalia, Etiopia, Eritrea, Repubblica del Congo, Uganda, Ruanda, Burundi e Angola.
Ma anche in altre parti del mondo i conflitti di cui non si parla mai non mancano.
Non è facile oggi giorno essere diretti perché tutto è sempre mascherato dagli interessi economici politici e sociali ma credo che ognuno di noi abbia diritto alla verità e alla trasparenza dell’informazione affinchè i massacri, le miserie e i conflitti non rimangano avvolti nel silenzio.
di Sara Monsù

4/03/2008

Tibet: i diritti umani tra diplomazie e proteste

Il Dalai Lama ha rivolto un appello alla Cina chiedendo di aprire un "dialogo significativo" per trovare una soluzione pacifica a seguito dei disordini scoppiati in Tibet, a dispetto delle accuse mosse dal governo cinese che lo aveva accusato di esserne responsabile. Il leader spirituale ha auspicato "sforzi sinceri" per arginare la situazione di tensione creatasi tra la Repubblica Popolare e le minoranze etniche. A differenza delle informazioni abilmente diffuse per screditare la sua immagine, il capo buddhista ha ribadito di non volere la secessione del Tibet dalla Cina, ma soltanto una maggiore autonomia. "Ho manifestato alle autorità cinesi – ha detto - la mia volontà di collaborare per riportare pace e stabilità in Tibet. Invito la dirigenza cinese a fare uso di saggezza e a intraprendere un dialogo significativo con il popolo tibetano per evitare di creare spaccature tra le differenti nazionalità». Non risparmia tuttavia le accuse: "L'atteggiamento dei media di stato cinesi sui recenti eventi in Tibet, usando menzogne e immagini distorte, potrebbe insinuare il seme della tensione razziale con imprevedibili conseguenze a lungo termine". Un pacato ma deciso rimprovero verso la politica di insabbiamento del governo cinese, che ha minimizzato il proprio intervento, nonostante le gravi repressioni attuate verso i monaci. Le reazioni politiche sono state varie. Il Presidente americano Bush sceglie la via diplomatica, chiedendo "prudenza" nel gestire le proteste dei tibetani. Differente è l'opinione di Nicolas Sarkozy, che non ha escluso il boicottaggio della cerimonia delle olimpiadi, sebbene le posizioni della Francia siano poi state ammorbidite dalla dichiarazione di Bernard Kouchner, il ministro degli Esteri: "Nessuno chiede un boicottaggio totale, questo è chiaro. Noi non siamo anticinesi". La Gran Bretagna ha sottolineato la sua posizione con fermezza, affermando che parteciperà alla cerimonia di apertura, mentre alcuni, come il premier polacco Donald Tusk esprimono scetticismo sulla propria presenza alle Olimpiadi.
Intanto, continuano le manifestazioni. A Kathmandu un gruppetto di studenti tibetani fra i 13 e i 16 anni è riuscito ad entrare nel cortile dell'ufficio delle Nazioni Unite. Inneggiando alla libertà della loro terra, hanno manifestato pacificamente per attirare l'attenzione delle autorità e chiedere l'intervento del Palazzo di Vetro per porre fine alle violenze nella regione himalayana. Cinque di loro sono stati portati via dalla forze dell'ordine. L'organizzazione umanitaria americana Human Rights Watch ha accusato il governo del Nepal di aver prospettato il rimpatrio forzato agli esuli tibetani riparati oltre confine, e di "servirsi della minaccia della detenzione e della deportazione in Cina per mettere a tacere il dissenso pacifico".
Nonostante le continue denunce da parte di associazioni come Amnesty International per le violazioni dei diritti umani che la Cina perpetua indisturbata, la comunità internazionale sembra aver scelto la strada della diplomazia, della quieta e timida denuncia, se non del tacito assenso. E' lecito forse chiedersi se la potenza del gigante cinese abbia a che fare con questa pacatezza delle reazioni. L'enorme crescita economica che la Repubblica Popolare ha conosciuto negli ultimi anni non è coincisa con altrettanta democrazia, e ciò con cui i Paesi occidentali devono fare i conti è un'immensa forza capitalistica in grado di imporre le proprie regole, anche a livello politico. Date le premesse, l'unico intervento auspicabile è quello delle Nazioni Unite. Nonostante la perdita di autorità che l'Onu ha subito negli ultimi anni, sembra che le vittime del regime cinese (tibetani e non solo) possano contare solo su un'intercessione super partes, oltre che sulle migliaia di occhi dell'opinione pubblica mondiale puntati addosso.

Irene Petraccone

Andrea Rivera: Monnezza a Bologna